“Le Seul Désir:
dans le nudité des Tantra”
Capitolo 24 – La paura non ha cause.
Trait d’Union – 2002 – di Eric Baret
ERIC BARET
“Il mondo comincia oggi. E’ una realtà per me, ogni volta che non ho paura.”
Jacques Lusseyran, Il mondo comincia oggi.
Lei sembra dirci che non esiste il passato…Tuttavia, se si viene morsi da un cane, per esempio, in seguito si avrà paura dei cani.
Non sempre si capisce quello che si prova…
Più vi renderete disponibile sensorialmente, senza riflessione, più potrete non comprendere ma sentire ciò che chiamate il passato. Non sarà più un concetto del passato, ma uno spazio in voi.
Voi capite sempre il passato in funzione della vostra capacità intellettuale. Nell’istante, voi comprendete profondamente qualcosa, ma fra dieci anni, alla luce delle capacità che avrete allora, direte che prima non avevate compreso.
La parola “comprensione” non è giusta; è una riduzione alla vostra ideologia, alla vostra intelligenza del momento. Secondo che vostra moglie vi abbia dato un figlio o stia per lasciarvi, la vostra comprensione sarà diversa. Arriva un momento in cui questa comprensione, anche se rimane, non è più il vostro cibo; non le chiedete più niente. Cosa rimane?
E’ come con un figlio. Quando smettete di cercare di capire vostro figlio, cosa resta? Vi resta l’ammirazione, il sentire, il gioco, l’amore, e vi accorgete che c’è allora una comprensione non intellettuale. E’ questo che vi spingerà a portare vostro figlio da un insegnante di musica o di taekwondo, non il ragionamento.
Nella situazione, è la stessa cosa. Funzionate col vostro sentire…E vedrete che la vostra paura dei cani non è la paura dei cani. Il cane che vi ha morso a fatto affiorare un’altra paura, che c’era già e che aveva apparentemente un’altra causa. Se risalite più indietro nel preteso “passato”, vedrete che prima di quello c’era ancora un’altra cosa, e così via. Altre persone oltre a voi sono state morse da quel cane e non ne hanno paura. Se voi conservate la paura o io conservo la paura, è perché sia io che voi avevamo un terreno favorevole per questo …
Inutile risalire ad Adamo ed Eva. Finisco per accorgermi che la mia paura della tale situazione non proviene dalla situazione, ma che la situazione fa affiorare in me una paura immensa, originale.
Nell’approccio dello yoga kashmiro, noi ci lasciamo accarezzare da questa paura non causale profondamente ancorata in noi. Il cane, l’abbandono di mio padre, i colpi ricevuti me l’hanno ricordata; non l’hanno creata. Ad un certo momento, capisco che tutto questo ha risvegliato la mia paura; rimane un sentire la paura. Quando smetto umilmente di pretendere di sapere perché o di che ho paura, quando smetto di puntare il dito, mi libero dell’immagine della paura ma il sentito della paura è qui. Allora, è straordinario.
Sentire in sé la paura senza causa è l’inizio di una vita profonda.
Ma finché credo di aver paura di questo, di quello, non sono pronto a vedere ciò che è qui. La paura è una emozione straordinaria, come ogni emozione. La vita non è che emozione. Ad un certo punto, ci si familiarizza con il fatto di vivere sensorialmente le proprie emozioni, e una forma di humour appare. Vedo il cane, vedo la mia paura, vedo che il cane non potrebe farmi niente se non avessi questa paura, vedo che non è il cane che crea la mia paura, che non fa che risvegliarla in me…..Quando comprendo questo, una vita sensoriale profonda si apre e molti chiarimenti appaiono.
Mi picerebbe sapere che cosa ne pensa di tecniche come la psicoanalisi che consistono nel ritornare al passato per , in qualche modo, risvegliare le paure…
Perché andare nel passato per ritrovare la paura che si presenta adesso nella gola? Lasciar venire la paura non è andarla a cercare. La paura è costantemente presente, in ogni istante. Non c’è bisogno di cercarla! Mi rendo disponibile sensorialmente e quando, nella giornata, ho la fortuna die ssere aggredito da un cane, un uomo, un capo, una critica o un’idea, la sera lascio vivere in me questo disagio, questa paura. Non è il passato: è presente.
Sono disponibile e, sensorialmente, questa paura gonfiata da immagini – paura di questo o di quello – si libera da quelle immagini . Sale allora in me come un gigantesco urlo, ma non necessariamente in una volta. Si produce un alleggerimento. Poco a poco, ma si produce; non ho più paura, la paura è in me.
Questa è una differenza essenziale dalle tecniche analitiche. Con queste, fino ad un certo punto, il paziente ha paura. Nel nostro percorso, io sento la paura, non ho paura. Come un soldato che deve combattere. Sente la paura e corre più in fretta. E’ una paura che aiuta, perché la sis ente. Ma quando si dice “ho paura”, ci si irrigidisce, si blocca il processo.
Lasciare che l’emozione ci accarezzi sensorialmente allo stesso modo in cui, rientrando dopo una serata all’opera, si sente ancora il respiro, la carezza dell’opera. Allo stesso modo, quando avete avuto paura di un cane e rientrate a casa, lasciate questa paura del cane, presente, ancora vibrante, parlarvi. La paura sale. Eventualmente altre immagini arrivano : vostro padre, vostra madre o quello che avete associato alla paura. Ad un dato momento, non ci sono più immagini, ma una paura essenziale.
Questa paura allora abbandona la sua caratteristica di paura e diventa una emozione senza paura, una emozione profonda.
La paura non è più per voi un antagonismo. Potete aver paura di un cane, il vostro corpo può sentire di nuovo questa paura, ma non è più una paura psicologica. Incidente, abbandono od ogni altra proiezione in un preteso futuro: non avete più paura di quel che potrebe accadere. La paura diventa allora poetica: come per un musicista, un poeta, un artista che può creare sulla paura, esprimerla e mostrarne la bellezza.
Dopo aver visto Rigoletto all’opera, non dite :”E’ meraviglioso!” Cos’era meraviglioso? Vedere la giovane farsi assassinare? No. E’ la bellezza. La bellezza è nella paura, nella sofferenza, dappertutto. Ad un certo punto, la bellezza e la gioia diventano vive in tutte le emozioni, compresa la paura, l’ansia, la gelosia o latristezza.
Scoprire in noi questo sottofondo di emozioni dove esse si liberano dalle immagini e dove ognuna di riporta a ciò che è essenziale, è l’arte di vivere secondo lo shivaismo kashmiro.
Dietro ogni paura, non c’è la paura della morte?
Ciò di cui l’essere umano ha più paura, è della gioia! Questa umiltà, questo spazio libero da direzioni, da concetti, dove non c’è nulla che possa chiamare me stesso, lo sento in me quando smetto di pretende qualsiasi cosa. E’ la gioia più intensa che si possa provare; è la paura più grande che si possa proiettare.
Eventualmente, la paura della morte diventa una paura come un’altra, come la paura delle malattie, dei ladri o dei cani: una immagine che copre un’altra cosa. Più vi date a momenti di sentito corporeo in cui lasciate parlare il vostro corpo, senza pensiero, senza sapere, senza ideologia, più vedrete ridurre in voi i pretesti per la paura; non saranno più molte le cose che avranno il potere di farvi paura.
Meno avete paura di qualcosa, più la paura cresce in voi, questa paura enorme. Un giorno, può darsi che un semplice ragno che intrappola una mosca, un film apparentemente insignificante, un pensiero o una parola in un poema saranno sufficienti a produrre questa apertura della paura in voi. La paura perderà il suo aspetto patetico, patologico, ed essere rivelata da cose via via più leggere. Diventerete sempre più paurosi, la minima cosa vi riconduce a questa paura. Poco a poco, questa paura si e in seguito si vuota in voi….E tutto questo nella vostra chiarezza. “Non ho paura, sento la paura”, ecco il vostro strumento pedagogico.
Quando dico “ho paura”, non posso granchè. Quando sento la paura nel ventre, nella gola, nell petto, è allora il mio oggetto di meditazione. E’ più profondo che meditare sulla tranquillità, sulla saggezza o su Krishna. La paura, la gola, la tensione, la vibrazione, il dolore della paura, la secchezza della paura, l’acidità della paura, è questo che diventa la mia meditazione. Non c’è nulla da pensare.
Ho una domanda a proposito del paradosso in generale. Per dare un esempio : la paura della morte, è la paura di non essere più. In effetti, la paura di non essere più impedisce di essere. Si arriva ad un paradosso. Molto spesso, quando si cerca di riflettere sulle cose e si va fino in fondo, si arriva ad un paradosso.
Certo, dal momento che il pensiero non può pensare in termini di opposti. E’ per questo che ad un certo punto vi rendete conto che il pensiero ha il suo valore per parecchie attività, ma non per trovare in noi questa disponibilità.
Quando leggete Meister Eckart, non pensate. C’è una corrente, una emozione, e, quando finite il testo, rimane un silenzio libero da ogni processo mentale, da ogni intenzione, da ogni comprensione. Nei pezzi di musica ispirati, come la cantata n. 198 o l’Arte della fuga di Bach, o la musica orientale, ci sono questi momenti di non-pensiero, di risonanza. Questi momenti sono più vicini a ciò di cui parliamo di qualunque riflessione.
Il paradosso non è giustamente il capitolare del processo del pensiero, la porta aperta al non-pensiero? Non c’è dunque da rimettere in causa il pensiero, ma di portarlo fino al suo termine.
Si. Portare il pensiero alla sua fine, mostrargli che non può pensare che in termini di opposti e di senso. Non c’è pensiero astratto : ogni pensiero si fonda su una immagine sensoriale.
Quando lo comprendete, quando cercate di pensare chi pensa, ad un certo momento vedete il paradosso e capite, in modo non mentale, che ciò che deve essere visto, trovato, non è qualcosa che si trova davanti al pensatore ma dietro.
E’ il pensatore che deve essere visto. Il pensiero non può vedere niente.
Il pensiero non esiste; è un dinamismo, un impulso. In un solo istante, voi vedete il dinamismo del pensare, questo dinamismo di andare verso qualcosa, e vi rendete conto che voi siete spazio, il luogo ove sorge e ove si riassorbe questo dinamismo. Non c’è più la minima intenzione di non pensare, come è sostenuto in certe scuole, né di pensare, come si invita in altre. Il pensiero c’è, il pensiero non c’è, assenza, presenza: resta questa disponibilità. Ma il pensiero deve essere portato verso questa porta dove esso vede il suo limite. Allora arriva una forma di tranquillità.
Quando il pensiero di rende conto di essere impotente, trova il suo riposo.
Scopro questa dialettica dell’osservazione, del sentire, del ritorno a sé, della differenza fra ciò che è me e ciò che non è me…Credo di capire l’utilità di questa ginnastica, è che si forma qualcosa che potrei chiamare la coscienza…Detto altrimenti, ciò che può vedere tutto questo in me, è la sola cosa che è me; tutto il resto, sono delle costruzioni temporanee.
Questa ginnastica non è un’attività che proviene dall’intenzione. Per alcuni, è un movimento spontaneo. Non tutti hanno la capacità di presentire questa disponibilità nell’albero, nella musica, nella danza, nel tiro con l’arco o nelle passeggiate in campagna.
Alcuni di noi, vittime della malasorte, hanno bisogno di pensare. Allora vanno di oggetto in oggetto, alla ricerca di quello che li soddisferà. Entrati in questo processo, si pensa di aver bisogno di qualcosa. Ad un certo momento, occorre rendersi conto di questo pensiero, di questa credenza di aver bisogno e lasciarla svuotarsi di ogni densità.
E’ una ginnastica spontanea che concerne poche persone. Quelli che l’hanno trovata nella vita funzionale scopriranno uno spazio di vita semplice. Non occorre alcuna riflessione, alcuna comprensione. E’ ciò che è costantemente in noi ed è sufficiente prestargli attenzione.
Generalmente, siamo talmente nel divenire, talmente in attesa di avere, che si trascura questa risonanza, che appare dapprima come un leggero brivido che, a mano a mano che lo si lascia libero, diventa come un torrente sempre più impetuoso. In quel momento, anche questa ginnastica di cui stiamo parlando si elimina. Perché non c’è nulla da pensare.
La bellezza, l’emozione, la gioia, l’amore, la sofferenza, la tristezza sono al di là del pensiero. Il pensiero non può nulla. Il pensiero sorgerà di tanto in tanto, per domandare l’ora, ma nei momenti di intimità non c’è pensiero.
Non ho domande, ma un ringraziamento perché lei ha accettato di scrivere dei libri e perché possiamo scambiare dei punti di vista e domandare, come ad uno specchio, ciò che siamo.
E’ importante vedere in noi questa facoltà di ascolto. Per mancanza di abitudine, si proietta questo su una situazione, ma quel che mi tocca, nell’ascolto, è l’ascolto. Niente di ciò che è ascoltato potrà mai toccarmi più dell’ascolto stesso.
Prestare attenzione a se stesso. Quando sono commosso all’opera, da una discussione, da qualsiasi cosa, accetto il supporto, ma assai in fretta vedo che ciò che supponevo avermi emozionato sparisce: è un accidente che aveva il suo valore nel momento. Resto in questo ascolto ove, naturalmente, ciò che è sentito è non-scelta, azione senza riflessione.
Ma finché ascolto qualcosa o qualcuno, tradisco il mio ascolto, sono ancora all’esterno.
Il grazie, è all’ascolto che presto. Ringrazio questo ascolto essenziale. E’ il mio stesso essere.
Per esso, il ringraziamento è giusto. Ma non c’è niente né nessuno da ringraziare.
Quando vi date a lui completamente, senza aspettativa, il vostro ascolto è il suo stesso ringraziamento. Non c’è posto per una persona. Nessuno per ascoltare.
Questo è l’ascolto che abbiamo tutti in comune, è ciò che rende possibile l’amore tra noi.
Ciò che amo profondamente nell’altro, è questo ascolto. Io credo di amare un corpo, uno psichismo, una voce, ma in verità è questo ascolto che io amo. Ma, per mancanza di chiarezza, traspongo. Come il credere di aver paura dei cani, dei colpi o di essere abbandonato. E’ una trasposizione.
Dunque, di tanto in tanto, ritornare a questo ascolto, senza ascoltare nulla. Restare tranquilli a casa. Non pretendere più di aver bisogno di qualunque cosa, futuro, passato, di diventare, di acquisire qualcosa. Semplicemente restare tranquilli.
Si ascolta anzitutto il corpo. Vedrete che la sensazione del corpo passa attraverso un certo numero di trasformazioni e, in un momento, il sentito del corpo si svuota, muore nel vostro ascolto. Allora c’è un ascolto libero da ogni direzione, da ogni oggetto.
L’essenziale in noi, è questo : questo ascolto che non contiene alcuna memoria.
Occorre dimenticare tutti i nostri argomenti. Ciò che non si può dimenticare, occorre conservarlo.
Grazie.